L’esperimento di Milgram [1], dal titolo “Behavioral study of obedience”, fu condotto negli anni ’60 dallo psicologo sociale statunitense Stanley Milgram per studiare il grado di obbedienza degli individui di fronte a un’autorità, anche quando ciò comportava azioni moralmente discutibili.
In una serie di sessioni, i partecipanti, reclutati attraverso annunci, venivano assegnati al ruolo di “insegnanti“, mentre attori, all’oscuro dei soggetti, impersonavano gli “allievi“. Il compito consisteva nel porre domande agli allievi e, in caso di risposta errata, infliggere loro scosse elettriche di intensità crescente. In realtà, nessuna scossa veniva somministrata, ma gli attori simulavano dolore crescente, gemendo e implorando di fermarsi.
L’autorità era rappresentata da un ricercatore in camice bianco che sollecitava i partecipanti a proseguire, nonostante le apparenti sofferenze dell’allievo. L’intensità delle scosse andava da 15 a 450 V, e molti partecipanti, sebbene visibilmente turbati, continuarono a infliggere “punizioni” fino al livello massimo, seguendo le istruzioni del ricercatore.
I risultati mostrarono che il 65% dei partecipanti arrivò a somministrare la scossa più alta, evidenziando come l’autorità possa influenzare il comportamento, spingendo gli individui a compiere azioni contrarie ai propri valori morali. Questo esperimento suscitò grande dibattito etico, sollevando interrogativi sul trattamento dei partecipanti e sul potenziale impatto psicologico.
L’obiettivo di Milgram era comprendere i meccanismi che potevano aver portato individui comuni a partecipare ad atrocità, come quelle avvenute durante l’Olocausto. La ricerca dimostrò che l’obbedienza all’autorità è un fenomeno potente e pervasivo, capace di prevalere sul senso critico e sull’empatia. Nonostante le controversie, lo studio rimane uno dei contributi più significativi alla psicologia sociale, offrendo spunti cruciali per riflettere sulla responsabilità individuale e collettiva.
Riferimenti
[1] Milgram, S. (1963). Behavioral Study of obedience. The Journal of Abnormal and Social Psychology, 67(4), 371–378. https://doi.org/10.1037/h0040525