Il rage bait o rage baiting è un tipo di contenuto creato appositamente per provocare rabbia o indignazione, con l’obiettivo di aumentare l’engagement attraverso commenti, condivisioni e reazioni impulsive. Si trova spesso nei post sui social media, nei titoli di articoli e nei video, sfruttando il coinvolgimento emotivo degli utenti.
Il rage bait è una piaga
Questo fenomeno si basa su affermazioni volutamente provocatorie, clip decontestualizzate o titoli esagerati che distorcono la realtà per suscitare discussioni accese. A volte vengono diffuse anche statistiche false o fuorvianti per alimentare controversie. Chi crea questi contenuti sa che la rabbia spinge le persone a interagire più di altre emozioni, aumentando la visibilità del post.
Il modo migliore per contrastare il rage bait è evitare di cadere nella trappola, ignorando il contenuto o verificandone la veridicità prima di rispondere. Spesso, il silenzio è l’arma più efficace contro chi cerca solo di generare polemiche per ottenere visibilità.
Gli algoritmi adorano il rage bait
Sì, gli algoritmi dei social media tendono ad essere “attratti” dal rage bait, cioè contenuti che provocano forti emozioni negative come rabbia, frustrazione o indignazione. Questo tipo di contenuto tende a generare molte interazioni, come commenti e condivisioni, che fanno “scalare” il post nei feed degli utenti. Gli algoritmi premiano queste interazioni, creando una sorta di ciclo in cui i contenuti che generano reazioni forti (sia positive che negative) sono favoriti.
Purtroppo, ciò ha un effetto collaterale, perché amplifica contenuti polarizzanti o dannosi, a discapito di discussioni più costruttive.